venerdì 1 agosto 2014

[il mondo delle donne] - Verso una nuova alba (di Silvia Devitofrancesco)






VERSO UNA NUOVA ALBA


Ho sempre odiato il carnevale. La gente che si traveste per incarnare quel personaggio che avrebbe voluto essere, ma non può essere, le maschere che occultano i visi, la finta innocente allegria.

Era un carnevale come un altro. Una bambina con la gioia di vivere travestita da fata per possedere, almeno per un giorno, la facoltà di trasformare le cose in farfalle. Accanto a lei c’era sua madre. Il suo modello, la sua grande fata buona. Il loro era un rapporto speciale. Simbiotico. Il loro piccolo mondo nel quale abitavano sole. Sole e felici.

La bambina stringeva forte la mano della mamma mentre insieme osservavano i tradizionali carri allegorici che sfilavano lungo la via principale del loro paese.

Il sole illuminava i prati circostanti e le risate festose della gente allietavano quella piacevole domenica di febbraio.

Mi sveglio di soprassalto col cuore che mi martella nel petto. La camicia da notte è madida di sudore. Con mano tremante accendo il lume e respiro affannosamente. La stanza si colora di luce, quella stessa luce così rassicurante che mi ha cullata nelle notti di bambina quando piangevo chiedendo disperatamente dove fosse la mia mamma.

L’uomo che occupa l’altra metà del mio letto si desta. Solleva la testa dal cuscino e mi rivolge uno sguardo preoccupato. <<Miriam, Miriam come stai?>> mi chiede apprensivo. Sorrido guardandolo. Il mio uomo. L’uomo che ho scelto come compagno in ogni momento. <<Tutto apposto, stà tranquillo. È stato il solito incubo. Vado a farmi una doccia. Tu dormi!>> Lo bacio teneramente sulle labbra ed egli, come un bambino ubbidiente, si addormenta all’istante.

Entro in bagno, richiudo la porta alle mie spalle, apro il rubinetto della vasca e mi lascio scivolare lungo la parete piastrellata per poi sedermi sul pavimento freddo. Chiudo gli occhi e, col sottofondo prodotto dal rumore dell’acqua che scorre, rivedo quelle immagini che mi perseguitano da anni.

La bambina era così intenta a lanciare i coriandoli colorati, spensierata e felice come solo i bambini sanno essere, da non accorgersi di ciò che stesse accadendo alle sue spalle, come, d’altronde, il resto della gente che affollava quel marciapiede. Tuttavia questi individui finsero di non aver notato nulla e stesero il velo dell’omertà, nascondendosi dietro i sorrisi e gli applausi per gli artisti di strada che si stavano esibendo in quel momento.

La sfilata giunse al termine. La folla applaudiva festosa e i bambini stringevano la mano dei genitori per poi avviarsi verso casa. La piccola Miriam salutava i suoi amici e, contemporaneamente, si voltava in attesa che sua madre le si avvicinasse. La strada era quasi deserta. La luce del sole stava lentamente scomparendo per lasciare spazio al chiarore della luna. <<Mamma, mamma dove sei?>> gridò la bambina. La mamma non le rispose. La piccola mosse qualche piccolo passo sull’asfalto e riprese a chiamare la sua mamma. <<Mamma dove sei?>> Ancora una volta non ottenne alcuna risposta. Miriam iniziò a singhiozzare attirando, così, l’attenzione delle comitive di ragazzi che si dirigevano verso un vicino pub. <<Piccola cosa è successo?>> <<La mia mamma, non riesco più a trovare la mia mamma. Ho paura voglio la mia mamma.>>

Il rumore dell’acqua che si riversa sul pavimento mi fa uscire da questo stato di torpore nel quale sono caduta. Mi rialzo a fatica e chiudo immediatamente i rubinetti. Mi sfilo la camicia da notte, accarezzo il mio corpo nudo di donna e mi immergo nell’acqua. Mi strofino con forza, quasi graffiandomi, così da mandare via quell’incubo che, quasi ogni notte, torna ad affliggermi. Ho sempre rifiutato l’aiuto che mi veniva offerto dai lontani parenti, dagli amici, dalla psicologa della scuola. Questo incubo è un fantasma che fa parte di me, vive in me e sarà con me fino alla fine dei miei giorni.

La bambina singhiozzava terrorizzata. <<Voglio la mia mamma, portatemi dalla mia mamma.>> Due braccia possenti la afferrarono e la portarono via, nonostante lei provasse a dimenarsi scalciando.

Esco dalla vasca e indosso l’accappatoio. Infilo i miei lunghi capelli neri, che tanto mi rendono simile a lei, in un asciugamano, spengo la luce e torno a letto.

L’uomo, che da tre anni è mio marito, dorme girato su un fianco. Non appena mi sdraio, la sua mano mi stringe forte, attirandomi a sé, come a volermi proteggere.

L’infanzia della piccola Miriam terminò in una casa- famiglia, poiché nessuno fu disposto a prendersi cura di lei. Ogni notte la bambina guardava le stelle, sperando di poter scorgere il volto della sua mamma. Avrebbe tanto desiderato conoscere il motivo che l’aveva spinta ad abbandonarla…

Molti anni dopo, divenuta ormai una donna, Miriam seppe che sua madre era stata rapita, per poi essere uccisa, dall’unico uomo che ella avesse mai amato: suo padre.

<<Amore, è qui, tra le tue braccia, che io desidero vivere.>> sussurro all’orecchio di mio marito prima di addormentarmi serena. Con lui al mio fianco, pronto a sorreggermi e a supportarmi, avrei camminato con passo sicuro verso una nuova alba. Un’alba colorata di rosa, che avrebbe scacciato via le tenebre del ricordo.


©Silvia Devitofrancesco

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